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giovedì 2 ottobre 2014

OCCORRE PRENDE ATTO CHE SIAMO UN PAESE POVERO - di Giorgio Ragazzi - Società Libera


E’ ormai più di un decennio che l’economia italiana langue, o cresce assai meno della media europea. Il motivo principale è la fortissima perdita di competitività, specie verso la Germania, ma non solo. A questo si aggiungano la follia dei sussidi alle energie rinnovabili che hanno portato a quasi raddoppiare il costo dell’energia prodotta in Italia, lo sperpero di risorse in investimenti pubblici a redditività nulla o lontanissima nel tempo, l’asfissiante cascata di sempre nuovi adempimenti burocratici, il forte inasprimento della pressione fiscale.
Per riprendere una prospettiva di crescita sostenibile il presidente del consiglio dovrebbe trovare il coraggio di dichiarare che siamo un paese povero, o almeno assai più povero di prima, e che quindi l’intervento pubblico e l’intera società devono adeguarsi a questa situazione di fatto. Vediamo cosa ne discenderebbe sotto vari aspetti.
Competitività. Con i vincoli alla finanza pubblica e l’enorme debito che i mercati, prima ancora che l’Europa, ci imporranno di contenere e ridurre è impossibile stimolare la domanda con politiche fiscali espansive. E’ sull’aumento delle esportazioni nette che è giocoforza puntare. Per migliorare la competitività occorre intervenire in varie e ben note direzioni (migliore giustizia civile, meno vincoli burocratici, maggior credito alle imprese etc.) ma nell’immediato l’aspetto più rilevante è la riduzione del costo medio del lavoro, anche introducendo una maggiore flessibilità. Altri paesi hanno applicato con successo la “deflazione interna”; da noi in parte sta avvenendo senza che si dica, ma troppo lentamente ed esclusivamente a carico degli “avventizi”. E’ urgente riformare il mercato del lavoro ma non possiamo permetterci di farlo verso l’alto. Occorrerà dunque introdurre misure impopolari che però verrebbero più facilmente accettate se il governo andasse dichiarando che siamo un paese impoverito (cosa di cui l’opinione pubblica è peraltro già ben cosciente).
Investimenti pubblici. Per moltissimi anni gli investimenti pubblici in Italia sono stati persino superiori alla media europea in rapporto al PIL, eppure abbiamo infrastrutture scadenti ed insufficienti. Questo non solo perché investiamo a costi elevatissimi (3-4 volte il costo di altri paesi nel caso della TAV) ma anche e soprattutto perché investiamo male, in progetti a redditività bassissima o negativa. Non possiamo più permetterci di investire nel gran buco della Val Susa o nell’alta velocità Bari-Napoli o Palermo-Messina, progetti invece avvallati da questo governo pur senza alcuno studio di redditività o di costi-benefici. Dovremmo invece indirizzare le scarse risorse disponibili verso investimenti, magari unitariamente modesti e meno “appariscenti”, che diano benefici elevati, certi e soprattutto a breve scadenza.
Cassa integrazione. La natura originaria della Cassa integrazione è stata stravolta in specie dal 2008, allargandone a dismisura il campo di applicazione ed estendendola poi a quella “in deroga”. Oggi più di mezzo milione di lavoratori sta a casa ricevendo buona parte dello stipendio oltre ai contributi pensionistici calcolati sullo stipendio pieno. L’onere per lo Stato è divenuto eccessivo, si scoraggia la mobilità del lavoro e si acuisce l’ingiustizia sociale. Per quanto doloroso, occorrerebbe il coraggio di tornare a limitare l’uso della Cassa ai suoi intenti originali, introducendo un sussidio alla disoccupazione inevitabilmente modesto ma esteso sia a chi perde un lavoro fisso sia agli “avventizi” disoccupati.
Costo dell’amministrazione pubblica. Se riconosciamo di essere un paese povero non possiamo continuare a tollerare, ad esempio, che la Corte Costituzionale costi 4 volte più dell’omologo organo inglese, che i nostri parlamentari siano i più pagati d’Europa, che l’esercito sia pieno di generali, che ambasciatori e dirigenti pubblici siano pagati più degli inglesi o dei tedeschi, che il Governatore del Trentino guadagni assai più di Obama o quello della Banca d’Italia 3 volte l’omologo governatore della Federal Reserve.
Tagliare anche questi costi diverrebbe più facile se il presidente del consiglio andasse dichiarando che siamo un paese impoverito. Ma il suo messaggio, sinora, sembra ben diverso quando dichiara, ad esempio, che “non è tagliando i salari che si esce dalla crisi”. Sarà, ma non è certo nemmeno distribuendo bonus di 80 euro al mese a chi un posto sicuro lo ha già, con risorse ancora da trovare.

Giorgio Ragazzi

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